Una casa alla fine del mondo è un film girato vent'anni fa che mi ha insegnato che posso tranquillamente cominciare a scrivere un post senza sapere come lo terminerò. E questo che state leggendo è il frutto di tale lezione.
Una casa alla fine del mondo mi sarebbe sembrato fantascienza - e nessuno dei protagonisti è un alieno, pensate - se solo un mio amico, tornando dalla Danimarca l'estate scorsa, non mi avesse detto che lì stanno approvando una legge per le unioni di più di due coniugi. Sì, perché questo film rielabora il concetto di famiglia per mostrarne un tipo alternativo. Quando dico "alternativo" non intendo giusto o sbagliato. Intendo semplicemente diverso.
Una casa alla fine del mondo parla di tre persone che si amano e creano la loro famiglia. Hanno una figlia a cui badano tutti e tre; si costruiscono una casa, insieme; lavorano, mangiano, dormono, scherzano, vivono. In un primo momento mi colpiva la semplicità con cui sono presentate le loro vite, ma col passare dei minuti riuscivo a trovarla sempre più naturale.
Una casa alla fine del mondo sostiene che "Tutto si può ballare" e che "Non c'è niente di cui aver paura": due punti di vista che non posso non condividere. E spiega che gli ostacoli che si incontrano nuotando controcorrente sono infiniti, e che non tutti riescono a farcela. Qualcuno scappa, dimenticandosi che non c'è nessuno che abbia realmente il diritto di inseguirlo.
Avrei dovuto odiare Una casa alla fine del mondo. Per motivi che non sto qui a spiegare, avevo iniziato a guardarlo col preciso intento di distruggere ogni suo fotogramma. Ahimé, sono una persona obiettiva, spesso. Stavolta no, ma non riesco comunque a evitare di provare emozioni, e questo film me ne ha date tante. Ed è una di quelle cose che ti illudono che tutto sia possibile, perfino abbattere le convenzioni. Molto più facile credere agli asini volanti, direi.
Consigliato a chi vuole stare bene per un'ora e trentadue minuti e a chi vuole stare tremendamente male dopo averlo visto.
Sono passati quattro giorni da quando l’ho visto al cinema. Il tempo che è servito all’estasi per evaporare e lasciare che gli effetti speciali la smettessero di stordirmi. Oh, no: nulla a che vedere col mal di testa da 3D. Quello mi ha dato noia nei primi cinque minuti, poi è passato. Intendo, invece, che le novità tecnologiche impiegate in Avatar mi hanno confuso, impedendomi di andare oltre.
Ora, lungi da me giudicare chi invece con Avatar ha provato delle emozioni. Ognuno ha bisogno di cose diverse, dall’apoteosi della frivolezza all’eccesso di intellettualoidità. Io stesso ammetto che mi sia piaciuto, nonostante credo che tutto il fascino del film stia nella squisita e solo superficiale presenza degli effetti speciali.
Nessun desiderio o bisogno di distinguermi dalla massa. O meglio: okay, ho gusti diversi, ma non sono voluti. Evidentemente la fantascienza non è il mio genere. Tra l’altro, non so se “ho” un genere cinematografico preferito. Comunque, ripeto che tutto sommato Avatar è un bel film. Vorrei però fare qualche considerazione in merito.
Il 3D è “una ganzata paurosa”. Consentitemi il termine (un misto tra il toscano e il linguaggio adolescenziale). Sì, evviva il 3D, una novità, la novità! – e per 11 euro non avrei mai ammesso il contrario, cacchio. E l’eccitazione non si ferma mica qui: siamo nel duemilacentocinquantaquattro, (che figoooo!) e gli uomini si spostano grazie a dei robot giganti (noooo!) e ci sono – pensate! – le astronavi.
Fin qui è tutto molto divertente. Come divertente è anche la trama, e coinvolgente: nonostante io abbia una repulsione tremenda per i film che durano più di due ore, le tre di Avatar non mi sono pesate affatto (comunque non lo rivedrò per altri dieci anni, centoottanta minuti bastano e avanzano). Le sparatorie e gli inseguimenti ti prendono e ti lasciano incollato allo schermo per tutto il tempo.
Dove sta la delusione? Beh. La trama, per quanto divertente, non osa. Okay, gli uomini cattivi e gli alieni buoni; okay, la storia d’amore interraziale (dopo Twilight, ci mancavano le relazioni uomo-alieno). Ma… c’è un pianeta nuovo su cui ambientare una storia e l’unico mezzo colpo di genio che ho visto è stata la connessione tra le code (non mi viene un altro modo per chiamarlo).
E poi? Fine. Non mi basta alzare di un metro un uomo e colorarlo di blu per avere una specie diversa. Prendi una tribù di indigeni ed otterresti la stessa cosa. E prendere un cavallo e aggiungerci una zampa non ti dà un nuovo animale. Ti dà un cavallo con cinque zampe. Un gatto nero gigante che ti insegue e ti vuole mangiare esiste già: si chiama pantera. E così pure un rinoceronte con la cresta: lo studi alle elementari quando fai la preistoria, è il tri-ce-ra-to-po!
Uff. Mi rileggo, e mi sto antipatico da solo. Ma lo ribadisco, non è per essere ostinatamente contrario. Mi aspettavo di più da un film così tanto osannato. A caldo, mi ha dato delle belle sensazioni, quindi sono contento di averlo visto. Ripensandoci razionalmente, mi sento un po’ deluso. Mi pare di aver visto la trasposizione fantascientifica di Pocahontas, fatta con dei puffi troppo cresciuti e il ritorno dei transformers.
Dancer eye
domenica, gennaio 31, 2010
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Ale [Tredici]
Forse io non saprò ballare, ma il mio occhio sinistro sì. Urge una parentesi: in realtà non si sa se io sappia ballare, ma la cosa certa è che noi ragazzi furbi (leggasi: rufiani e bisognosi di un corso d'autostima) diciamo di non saperlo fare, in modo tale che, nel caso dovesse capitare l'occasione, abbiamo messo le mani avanti e la probabile/eventuale figuraccia è attutita dal nostro atto di paraculismo estremo. Ad ogni modo, il mondo attualmente non ha grosse banche dati a disposizione sulle mie qualità motorie.
Dicevo che il mio occhio sinistro, invece, sa ballare benissimo. E' da lunedì che lo fa. Ogni tanto comincia e si mette a tremare. Inizialmente poteva anche essere una cosa simpatica: posavo l'indice sulla palpebra inferiore (se c'è un qualche termine tecnico migliore di "palpebra inferiore" ditemelo perché a me non viene in mente. Comunque ci siamo capiti) e sentivo un formicolio quasi piacevole.
Però non smette! Dopo una settimana, mi secca fare "Uh, mi balla l'occhio!" ogni volta che succede. E' seccante. Pensavo fosse il nervosismo legato all'esame di Calcolo Numerico. Anzi, sicuramente è così, poiché non ricordo di aver sofferto di più per un esame. Che poi è buffo da dire, perché ogni volta che devo dare un orale sono sempre più stressato. Il nervosismo cresce in maniera esponenziale, direbbe un analista. Anzi, un analista direbbe che il limite per i tendente a infinito della funzione Nervosismo(i) è infinito. Ma a noi non interessa questo, dicevamo dell'occhio.
Dopo aver dato l'esame - passato!, pereppeppeppeppè!, breve parentesi di autocelebrativismo - l'occhio ha continuato a muoversi. Ora, mi hanno tranquillizzato dicendomi che è una cosa normale e che passerà nei prossimi giorni (a meno che io non inizi a usare Tesmed, ma non ne ho l'intenzione, grazie). Ma se dovesse continuare, devo assolutamente pensare a un altro modo per dare un utilizzo a questo tic altrimenti improduttivo.
Avevo in mente le seguenti cose: 1) collegare un micromeccanismo alla palpebra in grado di approfittare del movimento per produrre energia elettrica e riuscire a illuminare i paesini sprovvisti di elettricità, come quelli in Botzwana, o come Arcore; 2) calcolare la funzione che esprime il periodo di traballamento dell'occhio: se esiste, sfruttare tale periodo per creare un nuovo sistema temporale in cui non si usano più i secondi, minuti, ore, ma nuove straordinare unità di misura, come il mio periodo di traballamento del mio occhio sinistro, o l'attimo che intercorre tra due miei starnuti, o la potenza dei miei colpi di tosse.
Beh, vado a prepararmi che tra un pochino devo andare. E quando dico "un pochino" intendo 134 traballamenti d'occhio, 12 starnuti e 4,56 colpi di tosse.
Ammetto che ero partito molto prevenuto. Tutta questa pubblicità, il grande successo, il costo esorbitante... Pensavo che sarebbe stato il classico tripudio americano di effetti speciali. Invece no. Come direbbe la Maionchi: béne, molto béne, mi sei piaciuto.
Alla terza canzone di Geri Halliwell mi volevo impiccare in mezzo alla sala pesi.
Amìala ch'â l'arìa amìa cum'â l'é
amiala cum'â l'aria ch'â l'è lê ch'â l'è lê
amiala cum'â l'aria amìa amia cum'â l'è
amiala ch'â l'arìa amia ch'â l'è lê ch'â l'è lê
[ Guardala che arriva guarda com'è com'è
guardala come arriva guarda che è lei che è lei
guardala come arriva guarda guarda com'è
guardala che arriva che è lei che è lei ]
nera che porta via che porta via la via
nera che non si vedeva da una vita intera così dolcenera nera
nera che picchia forte che butta giù le porte
nu l'è l'aegua ch'à fá baggiá
imbaggiâ imbaggiâ
[ Non è l'acqua che fa sbadigliare
(ma) chiudere porte e finestre chiudere porte e finestre ]
nera di malasorte che ammazza e passa oltre
nera come la sfortuna che si fa la tana dove non c'è luna luna
nera di falde amare che passano le bare
âtru da stramûâ
â nu n'á â nu n'á
[ Altro da traslocare
non ne ha non ne ha ]
ma la moglie di Anselmo non lo deve sapere
ché è venuta per me
è arrivata da un'ora
e l'amore ha l'amore come solo argomento
e il tumulto del cielo ha sbagliato momento
acqua che non si aspetta altro che benedetta
acqua che porta male sale dalle scale sale senza sale sale
acqua che spacca il monte che affonda terra e ponte
nu l'è l'aaegua de 'na rammâ
'n calabà 'n calabà
[ Non è l'acqua di un colpo di pioggia
(ma) un gran casino un gran casino ]
ma la moglie di Anselmo sta sognando del mare
quando ingorga gli anfratti si ritira e risale
e il lenzuolo si gonfia sul cavo dell'onda
e la lotta si fa scivolosa e profonda
amiala cum'â l'aria amìa cum'â l'è cum'â l'è
amiala cum'â l'aria amia ch'â l'è lê ch'â l'è lê
[ Guardala come arriva guarda com'è com'è
guardala come arriva guarda che è lei che è lei ]
acqua di spilli fitti dal cielo e dai soffitti
acqua per fotografie per cercare i complici da maledire
acqua che stringe i fianchi tonnara di passanti
âtru da camallâ
â nu n'à â nu n'à
[ Altro da mettersi in spalla
non ne ha non ne ha ]
oltre il muro dei vetri si risveglia la vita
che si prende per mano
a battaglia finita
come fa questo amore che dall'ansia di perdersi
ha avuto in un giorno la certezza di aversi
acqua che ha fatto sera che adesso si ritira
bassa sfila tra la gente come un innocente che non c'entra niente
fredda come un dolore Dolcenera senza cuore
atru de rebellâ
â nu n'à â nu n'à
[ Altro da trascinare
non ne ha non ne ha ]
e la moglie di Anselmo sente l'acqua che scende
dai vestiti incollati da ogni gelo di pelle
nel suo tram scollegato da ogni distanza
nel bel mezzo del tempo che adesso le avanza
così fu quell'amore dal mancato finale
così splendido e vero da potervi ingannare
Amìala ch'â l'arìa amìa cum'â l'é
amiala cum'â l'aria ch'â l'è lê ch'â l'è lê
amiala cum'â l'aria amìa amia cum'â l'è
amiala ch'â l'arìa amia ch'â l'è lê ch'â l'è lê
[ Guardala che arriva guarda com'è com'è
guardala come arriva guarda che è lei che è lei
guardala come arriva guarda guarda com'è
guardala che arriva che è lei che è lei ]
N i n e
sabato, gennaio 23, 2010
| Author:
Ale [Tredici]
One. Prima italiana di Nine. Cinema Eden, Viareggio. E... non c'era un cane. Probabilmente i cani in questione erano a vedere l'attesissimo, famosissimo, premiatissimo, acclamatissimo (e un sacco di altri issimo) Avatar. Film che non ho ancora visto e nonostante questo si è già prenotato un intervento sul blog - con mio gran disappunto, tra l'altro. Comunque, parleremo di Avatar quando l'avrò visto. Adesso basta. Chiusa parentesi Avatar. Chiusa. Chiusa? Sì, lo è. Dicevo di Nine, il nuovo musical di Rob Marshall, già regista di Chicago. Mi è piaciuto. E questo post raccoglie qualche pensiero su questo film. Precisamente, nove.
Two. Penélope Cruz si conferma la mia attrice preferita. Dopo aver rubato a Scarlett Johansson il primo gradino del podio con la sua interpretazione in Volvèr, in questo film non ha fatto altro che ribadire la propria bravura, eleganza, bellezza e versatilità.
Three. Ma quanto fumano tutti?! I personaggi hanno un sigaretta costantemente incollata alle dita, e non appena la posano, iniziano a cantare come usignoli, sfoggiando voci limpide e cristalline. Tutti tranne Fergie, che paradossalmente è l'interprete della canzone più potente.
Four. Sofia Loren è - nel cast principale - l'unica attrice ad essere italiana. Ed è anche l'unica a non sembrarlo. Forse perché è nata italiana. E poi è stata imbalsamata. Questo spiegherebbe anche come mai appena prova a ridere le si vede una parte di cranio all'attaccatura dei capelli. Evidentemente le colle stanno perdendo d'effetto.
Five. Parliamo di questa Italia. Ho avuto l'impressione che il ritratto che le si è dato nel film rispecchiasse, più che l'immagine dell'Italia, quella dell'America. Con la sola differenza che in America se li sognano scenari così.
Six. Seducenza allo stato puro. Ovviamente è un film incentrato molto sulla figura della donna, visto che ne analizza sette tipi, dall'amica alla moglie all'amante alla prostituta alla madre alla musa. Tutte analisi molto superficiali in realtà: non si può pretendere che in due ore si scavi nel cuore di così tanti personaggi. Ad ogni modo, le parentesi che apre su ognuna di loro sono interessanti. Sterili, ma interessanti.
Seven. Il titolo: nove. Okay, fa riferimento all'età mentale che il protagonista dice di avere. Ma è anche un chiaro richiamo alle muse dell'Antica Grecia. Ecco: la mia precisione maniacale è alquanto seccata dal fatto che poi le donne di Nine sono sette e non nove.
Eight. Canzoni e musiche molto carine. La mia preferita è l'Overture delle donne (che ho pubblicato in cima al post), poiché ci sono tutte e sette, seguita a ruota da Be italian di Fergie. Ma la cosa drammatica è che il mulo non mi scarica la colonna sonora!
Nine. Be italian!
Cell - *** Driiin ***
Bocca di Ale - Pronto?
Cervello di Ale - Frena, c'è uno stop
Cell - Prontoalessandrociaosonofrancescadellapales....
La voce femminile sfuma mentre il telefono viene gettato sul sedile del viaggiatore
Dopo dieci secondi viene attivato il vivavoce
Cell - (tra il preoccupato e il perplesso) Pronto? Pronto, c'è nessuno?
Bocca di Ale - Pronto.
Cervello di Ale - Ora è verde, parti
Cell - Pronto, Alessandro? Sono Francesca, della palestra (sbrodolata in inglese)
Bocca di Ale - Chi?
Cervello di Ale - Chi?
Cell - Francesca, della palestra (stessa sbrodolata anglosassoneggiante di prima)
Bocca di Ale - Ah, ciao!
Cervello di Ale - Chi?
Cell - Ciao! Ti volevo dir//
Cervello di Ale - Accosta.
Bocca di Ale - Scusami Francesca, è che adesso sto guidando. Un attimo che mi fermo eh...
Cell - Certo.
Bocca di Ale - Ecco, ci sono.
Cell - Ciao Alessandro, ti volevo dire che la palestra blablabla ti fa un regalo. Un mese omaggio di sport!
Cervello di Ale - Ci mancava anche questa.
Bocca di Ale - Ehm... Grazie? Cioè: grazie.
Cell - Prego! Così volevo chiederti quando avevi intenzione di iniziare.
Cervello di Ale - Rimanda-non-hai-tempo-esami-prove-corsi-casa-no-tempo-no-tempo
Bocca di Ale - Sì, ma siamo sicuri che... Ehm, scusa la diffidenza, eh...
Cell - Figurati!
Bocca di Ale - Ecco, ma siamo sicuri che poi il mese è proprio proprio omaggio?
Cervello di Ale - Per nulla, direi.
Cell - Dunque, tu provi il primo mese, poi se vuoi puoi decidere di continuare...
Bocca di Ale - Ahhhh!
Cervello di Ale - (fulminato da un'improvvisa illuminazione) Ehi, un momento. Dieci minuti fa, nel camerino del negozio, ti sei specchiato e io ho pensato che dovevi ricominciare un po' di attività fisica.
Cell - Alessandro? Ci sei sempre?
Bocca di Ale - Ahhh sì, scusa, è che il cervello ha fatto un discorso più lungo stavolta.
Cell - Come?
Cervello di Ale - Sei uno scaricabarili. E idiota. Uno scaricabarili idiota.
Bocca di Ale - Va bene, allora penso che verrò!
Cell - Ottimo, a presto...
Bocca di Ale - A presto
Cervello di Ale - Ma gli struzzi sono davvero viola come quelli del Re Leone?
Blue monday
lunedì, gennaio 18, 2010
| Author:
Ale [Tredici]
...che in italiano non si traduce con il letterale "Lunedì blu", poiché è il nero che il modo di dire associa ad una giornata andata male. Oggi, secondo lo psicologo inglese Cliff Arnall, è il giorno più infelice dell'anno. Il terzo lunedì di Gennaio è il blue monday. A causa di tanti fattori: vacanze finite, estate lontana, tendenziale brutto tempo, buoni propositi per il nuovo anno già infranti e speranze già deluse.
Ora, con molta calma e una buona dose di raziocinio, cercherò di analizzare la mia giornata.
Domani ho un esame. Che molto probabilmente boccerò, poiché non ho avuto né il tempo né le forze per prepararmi adeguatamente (questo a voi non frega niente, ma a me serve per auto-convincermi e rasserenarmi che ho fatto tutto il possibile. Sì, esatto, bravi: me la racconto). Questa consapevolezza mi ha fatto rimanere più o meno tranquillo per tutto il giorno, e non mi sono nemmeno agitato troppo quando ho constatato che in otto ore di studio ero riuscito a fare solo due esercizi.
A pranzo ho mangiato un trancio di pizza e una focaccina. Ma ero insieme a due persone a cui voglio un bene immenso, per cui non è stato pesante. E poi... la schiacciatina con cecina-rucola-pomodori... è potente!
La macchinetta del caffè non distribuiva più le palettine, né lo zucchero, con mio estremo disappunto. Ciò non è stato proprio proprio positivissimo in effetti. Anzi, quel caffè mi è andato giù con difficoltà, poiché sono abituato a prenderlo molto dolce (cinque pallini illuminati della macchinetta, per intenderci). Ma ciò ha contribuito a rendermi più vigile e concentrato nelle ore di studio successivo! Non tutto il male viene per nuocere, e nemmeno tutto il caffè amaro (bastardastronzainfame di una macchinetta, tra parentesi).
Ho notato di aver sviluppato una tendenza irritante a dire "poiché". Questo a causa di tutti i teoremi di calcolo numerico che ho dovuto dimostrare, e di tutti i passaggi da giustificare. "Poiché" e "perciò" sono due parole che non sopporto, troppo formali. E adesso le metto in ogni frase, insieme a "tuttavia" e "okay" e "carino". Ma, a pensarci bene, le parole non devono starmi antipatiche: è bene che mi abitui.
Sono tornato a casa per lenteacontattarmi. Che non significa che dovevo telefonarmi componendo il numero molto adagio. Ma credo che non ci fosse bisogno di spiegarvelo, ora che ci ragiono. Beh, comunque sono rimasto in casa sì e no venti minuti, per controllare la posta e bere un bicchier d'acqua. Mi sono portato un pezzo di pane in macchina da mangiare mentre ero in coda ai semafori (casualmente, trovo sempre un sacco di semafori rossi quando sono in ritardo, ed ero in ritardo di... troppo tempo). Beh, qui non c'è molto da dire... Ma il pane era fresco, dai.
Arrivo alla sede di Spett'attori, che sarebbe un corso di playback theatre a cui partecipo. Lo scrivo in inglese perché fa molto più figo, e così ho modo di tirarmela un po' (e soprattutto perché non credo che esista un termine equivalente in italiano), ma in realtà è un semplice corso di teatro sociale, che consiste in tecniche sperimentali non difficili da spiegare. E' stata una delle lezioni più emozionanti di tutto il corso. Non sto a entrare nei dettagli, ma quando sono uscito mi sentivo proprio... bene.
E ora sono qui, a scrivere cretinate sul mio blogghino. Dopo aver mangiato ed aver ascoltato un po' di musica, ovviamente. E penso che, tutto sommato, paradossalmente, in conclusione (e tutta una serie di altre locuzioni come queste), il mio monday non è stato proprio proprio così blue.
Il tuo Cristo è ebreo e la tua democrazia è greca. La tua scrittura è latina e i tuoi numeri sono arabi. La tua auto è giapponese. Il tuo caffè è brasiliano. Il tuo orologio è svizzero e il tuo walkman è coreano. La tua pizza è italiana e la tua camicia hawaiana. Le tue vacanze sono turche, tunisine o marocchine. Cittadino del mondo, non rimproverare al tuo vicino di essere straniero.
[ 1994, manifesto sui muri di Berlino ]