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Il cercatore di fortuna
sabato, luglio 25, 2009 | Author: Ale [Tredici]
La fortuna non può essere imbottigliata in una fialetta. Può accadere nel mondo dei maghi, forse, ma nel mondo dei maghi ci sono anche i draghi, e gli elfi domestici e le fotografie si muovono. Nel nostro mondo - asfalto, cotone sintetico, crociere e televisioni - non si può.

Però pensavo che si potesse... cercare, quantomeno. Perché se una cosa esiste davvero, da qualche parte deve trovarsi. Così mi sono deciso. Volevo andare a caccia di fortuna. Sì. Da dove cominciare? Non in casa di certo. In casa non succede niente. La casa è un posto bellissimo perché ti protegge ti culla ti fa sognare, ma sicuramente la fortuna non si trova lì. Allora ho preso la bici, mi sono infilato le cuffie alle orecchie, e sono andato a cercare a Lucca. A Lucca, perché una mia cara amica mi aveva detto che l'aveva vista spesso girare a Lucca. Magari l'avrei vista anch'io.

Quindi, dicevo: bici, mp3 e via verso la città. L'ho setacciata. Ho percorso stradine che non sapevo nemmeno esistessero. Ho vagato per viottoli, vie, viali. La cercavo, speravo che potesse essere da qualche parte, immersa tra i turisti e il caldo. Sono stato nei parchi giochi, in tutti: magari la fortuna porta i cuginetti o i nipotini a divertirsi sull'altalena. Ho fatto un giro di mura, perché c'era la possibilità che facesse footing. Velocemente (per assicurarmi di visitare ogni angolo della città ero in bici, infatti) analizzavo ogni faccia: quelle intente a scegliere i vestiti nei negozi, quelle sdraiate ai baluardi, quelle sedute sui gradini di un ingresso...

Mentre giravo, pensavo a cosa avrei potuto dirle se l'avessi trovata. Oh, ciao Ale, che giri qui in città? Ciao fortuna, cercavo... te. E magari a quel punto avrebbe sorriso. Perché io penso che faccia sempre piacere essere cercati, anche se magari quello che ti cerca non è il tuo tipo. E allora avrei detto: Sai, fortuna, io devo dirti una cosa. E' tanto che ci penso e devo proprio parlarti. Hai cinque minuti, o magari venti, o anche un'oretta intera? E a quel punto mi avrebbe preso per mano e saremmo andati in un luogo dove poter parlare senza essere ascoltati, io le avrei detto la verità; e l'angoscia - quella sensazione di non finire mai di annegare - sarebbe finita una volta per tutte.

Niente, nessuna traccia di fortuna quel giorno.

Ci ritornai il giorno dopo, e il giorno dopo, e il giorno dopo ancora. Niente, niente e ancora niente. Solo ieri mi è sembrato di vederla dentro il Re-wine. Era di spalle, e non ero così sicuro che fosse lei, per cui dovetti controllare di nuovo. Passai cinque o sei volte davanti al pub, come un imbecille. Alla quinta volta era seduta con un uomo, sempre dandomi le spalle, coperte da una maglia verde. Mi sembravano i suoi occhiali, ma non ne ero certo. Alle orecchie non aveva accessori ed era strano perché mi avevano detto che ne porta sempre. Non potevo andare via: dovevo assicurarmi che fosse lei. Allora mi fermai vicino all'ingresso, e feci finta di controllare il cellulare. Dopo cinque minuti uscì la persona con la maglia verde, ma non era lei. Sono tornato a casa un po' triste, ieri. Deluso, e con il tormento a fermentare sotto l'epidermide.

Morale della favola: non ve la dico. Bene bene, pappappero. Non ve la dico per due motivi. Il primo è che è la verità, e la verità fa male, e io non voglio fare del male ai miei pochi lettori - non direttamente, almeno. E il secondo è che è tremendamente più utile se ci arrivate da soli.

Ivan
mercoledì, febbraio 18, 2009 | Author: Ale [Tredici]
E' la legge più antica del mondo.
Homo homini lupus, diceva Hobbes. Selezione naturale, la chiamava Darwin. Lotta per la sopravvivenza, menzionava Verga.
E' la legge del più forte, la legge più antica del mondo.

Ema si passa una mano tra i capelli scuri, sospira e afferra la valigia. Si dirige verso la stazione. Sognando.
Si blocca, infila le dita nella tasca del giaccone. Okay, non l'ha dimenticato. Prosegue, verso la stazione.
Lo vede vicino all'ingresso. Lo degna dello stesso sguardo che concede ai passanti: mezzo secondo, quanto basta.
Il passante si chiama Ivan. Quando vede Ema gli si avvicina. No, anzi, gli si mette davanti.
"Ciao io sono Ivan piacere di conoscerti bomber tu sei"
Ema sente alcune parole pronunciate d'un fiato, vede una mano di fronte a sé e scende dal mondo dei sogni. Stringe la mano e si presenta.
"Grande bomber posso chiederti se tu hai genitori io purtroppo non ho avuto questa fortuna mi guardi con un altro occhio adesso vero"
Ema intanto lo osserva. Capisce a malapena cosa dice Ivan, sia perché nelle veloci parole dell'altro non ci sono pause, sia perché per lui è più interessante osservare la gente. Risponde, mantenendosi sul vago.
"Lo sapevo bomber allora ascolta io qui ho alcune cartoline che le signore del nostro centro dipingono per noi tutto quello che ti chiediamo bomber è una mano ma non in faccia ahahah semplicemente si tratta di rinunciare a una pizza e a una cocacola no bomber ti chiediamo di darci una mano"
Parole, parole, parole. Ema lo osserva, ne delinea la personalità: Ivan non legge mai il giornale, tifa una squadra di calcio che potrebbe essere il Pisa, il sabato sera esce e fa tardi, non vorrebbe svegliarsi presto la mattina, usa il rasoio per farsi la barba ma solo di martedì. Pensieri, pensieri, pensieri.
Cinque minuti dopo Ema ha lasciato dei soldi a Ivan. "Ciao bomber" "Ciao, Ivan."
Cinque minuti dopo ancora Ema comincia a farsi un'idea ancora più precisa di Ivan. E' furbo, uno scansafatiche, uno che ha capito la vita quel tanto che gli serve per poter sfruttare le debolezze umane. Peccato - pensa.

E' la legge del più forte, la legge più antica del mondo.
Sarebbe tanto bello se vincesse il più giusto, anziché il più forte.
Non è così - pensa Ema - vince il più forte. Solo nei miei sogni vince il più giusto.
Ma Ema non ha intenzione di adattarsi. Rimarrà fedele alla sua onestà.
Ma, a scanso di equivoci, diventerà più forte.